La collana del tempo |
Sito in allestimento
L'Arte della Complessità Globale = Global Complexity Art = GCA
Cogliendo la
sintesi di ricerche autorevoli, nella prospettiva storica del terzo millennio
si pongono di fronte all'intera umanità, come baricentro esistenziale e
culturale, tre tematiche interconnesse: GLOBALITÀ – COMPLESSITÀ - CREATIVITÀ
EVOLUTIVA. Tra questi temi merita particolare menzione la nuova concezione del
"tempo creativo" delineata dal Nobel per la fisica Ilya Prigogine, la
quale traina la Scienza della complessità con la nuova cosmologia dell’Universo
Creativo, spingendo ad una generale revisione epistemologica delle scienze e
delle culture, oltre a promuovere una riflessione sulla dimensione del tempo
che, dopo la conquista dello spazio planetario, è la “nuova frontiera” da
conquistare. In breve è questo il paradigma propulsivo, il denominatore comune
nella creazione del futuro, con cui interagisce la Global Complexity Art
realizzando le sue espressioni, compreso il presente testo. Questo approccio
artistico si basa sulla relazione neo-umanistica tra arte e scienza, che
prosegue sulla strada aperta dal grande astista tedesco Joseph Beuys con il suo
concetto di arte allargata.
La Visione Globale
Performance: Viaggio shamanico nel tempo |
Il contesto storico è quello della
globalizzazione industriale e finanziaria, insieme al suo dispiegarsi nella
rete mondiale dei mezzi di comunicazione, ciò che sospinge
fitte interazioni tra fenomeni locali e globali. Risulta pertanto che il
mondo appare sempre più piccolo mentre implode gradualmente verso il tempo reale del "villaggio
globale" previsto da McLuhan. E' questo anche il territorio esistenziale
dell'umanità, quello che si proietta nella configurazione dell'Arte della Complessità
Globale, la quale non può che affacciarsi sul panorama variopinto della
globalità per creare un quadro adeguato della realtà. Certo, la
dimensione globale non è solo uno spazio più ampio, ma è piuttosto l'insieme
complesso di differenze spesso confuse e incompatibili, che richiede approcci
multidisciplinari e parametri innovativi. Come risposta a tale esigenza,
gli approcci e i parametri più idonei sono confluiti nel concetto di Visione
Globale, che presiede all'interazione "locale-globale", divulgato
particolarmente da Alexander King, membro di quel Club di Roma che salì alla ribalta per via della prima
pubblicazione basata sull'ottica globale. Tanto è vero che questo
"club" di scienziati, intellettuali e creativi di varie nazioni, fece
clamore agli inizi degli anni '70 con il noto rapporto "I limiti della
crescita", contenente le previsioni allarmanti sul rapido decrescere dei
margini di tolleranza ambientali e delle risorse energetiche non
rinnovabili -ciò che si definisce entropia- la cui entità si era potuta
verificare per la prima volta con l'analisi complessiva del pianeta Terra. La conclusione
logica del rapporto fu l'appello lanciato ai governi di tutto il mondo, ma
riferito anche a semplici cittadini, affinché cominciassero a cambiare i
vigenti modelli di sviluppo, tanto quelli economici e produttivi, quanto quelli
socio-culturali e comportamentali, prima ritenuti indiscutibili e da allora
dichiarati senza futuro.
Venendo a parlare della metodologia analitica impiegata nella
Visione Globale, lo strumento primario è rappresentato dalla Teoria generale
dei Sistemi, ossia l'interpretazione del "mondo come un sistema di sistemi
interattivi in evoluzione nel tempo”; tanto è vero che fu applicato anche dal
System Dynamics Group del Massachusetts Institute of Technology (il MIT di
Boston negli Stati Uniti), che fu incaricato a compilare suddetto rapporto su
“I limiti della crescita” convenzionale. L’invenzione della Sistemica si
riconduce al biologo austriaco Ludwig von Bertalanffi, 1901-1997; mentre dagli
anni ‘60 il massimo teorico e filosofo della Teoria Generale dei Sistemi è
rappresentato dalla figura carismatica di Ervin Làszlò. Già membro del Club di
Roma e fautore del noto rapporto, Làszlò fondò a Budapest il Gruppo di Ricerca
sull'Evoluzione Generale, dato il nesso imprescindibile tra Sistemica ed
Evoluzione. Il fatto è che l'interpretazione Sistemica del mondo richiede
gli strumenti adeguati per definire le dinamiche evolutive che i sistemi
manifestano nel tempo, per cui la Sistemica si completa con i più
recenti concetti evoluzionistici che vanno sotto il nome di Evoluzione allargata,
ciò che per Làszlò rientra nella Teoria Generale dell'Evoluzione. Con
l’aspetto importante che, come la Sistemica interpreta ogni settore della
realtà, l'Evoluzione allargata si
basa sulla scoperta di leggi evolutive analoghe tanto nei sistemi naturali
della Terra e dell'universo intero quanto nei sistemi sociali e culturali
dell'umanità. Perciò, la Sistemica e l'Evoluzione
allargata, insieme permettono una Visione
Globale nello spazio e nel tempo.
Complex |
Tuttavia manca ancora qualche tassello per completare i
parametri della visione globale. Il punto è che le evoluzioni non sono né
lineari né deterministiche, ma dimostrano piuttosto un carattere di
"complessità creativa" alla quale risponde propriamente la Scienza della complessità
con la teoria termodinamica dei “sistemi dissipativi” di Ilya Prigogine.
Anzitutto vi si afferma che le evoluzioni si manifestano oggettivamente
nell'incremento di complessità dei sistemi, come il livello evolutivo di un
qualunque sistema si rapporta al grado della sua complessità costitutiva: tanto
più è complesso tanto maggiore è il suo grado evolutivo. Va chiarito che il
grado di complessità di un sistema corrisponde alla quantità di componenti
diversi più la somma delle loro relazioni reciproche. Significa che la semplice
unione di componenti diversi rende un insieme piuttosto complicato e conflittuale,
mentre con l’incremento delle loro relazioni si evolve verso un sistema
complesso. La questione chiave è che l’evoluzione passa attraverso una crisi
organizzativa dei sistemi il cui esito è incerto. Questa sorta di vulnerabilità
è dovuta al fatto che quasi tutti
i sistemi, inorganici e organici, sono di carattere “dissipativo”, ossia
“instabili”, in quanto dipendenti dall’interazione con il loro ambiente da cui
ricavano energie esistenziali e in cui immettono scorie, entropia. Tutti usano
energia, come gli organismi viventi mangiano e defecano, fino all’esaurimento
delle risorse e la sovrapproduzione di scorie, con cui i sistemi entrano in
crisi entropica. Questo stato critico, definito “lontano dall’equilibrio”, pone
i sistemi di fronte a una “biforcazione” tra due opposti percorsi: o il declino
o l’evoluzione. Tali opzioni sono definibili anche come due tipi di complessità
opposte: entropia e sintropia. L'entropia è pari al degrado dei sistemi dovuta
all’esaurimento di risorse e incremento di scorie, con cui s’afferma una
complessità caotica pari allo stadio confusionale tra i componenti, che tende
al collasso, la morte; mentre la sintropia corrisponde alla prodigiosa
potenzialità dei sistemi a rovesciare la decadenza in rinnovamento –Prigogine parla
di “auto-organizzazione” basata sulla coerenza interna- che usufruisce del
caos strutturale come stato idoneo alla creatività evolutiva, tramite una
riorganizzazione alternativa che ingloba i componenti prima contrastanti,
creando cosi un sistema di maggiore complessità. Per questo ordine superiore di
complessità sistemica si può usare un termine, antico ma molto appropriato, che
è quello di "unione delle differenze".
Entropo & Sintropo |
Lo stesso dinamismo evolutivo si verifica in tutti i sistemi,
dalle strutture molecolari della materia inorganica a quella organica fino
all’universo nel suo insieme, non di meno i sistemi socio culturali
dell’umanità. Basta pensare che le conclusioni di Prigogine siano partite dalla
ricerca su come la vita ha potuto evolversi dalla materia non vivente,
riuscendo a individuare le suddette dinamiche evolutive in entrambe le sfere,
organico ed inorganico, dell’esistente. È il meccanismo interno a quello che si
chiama la selezione naturale, che premia la maggiore adattabilità. Si tratta
propriamente di un meccanismo di “auto-organizzazione” che subentra nella fase
acuta della biforcazione evolutiva, quando tutti i singoli componenti -
molecole, cellule, individui - si comportano come se avessero la consapevolezza
dell’insieme e lo inglobano in una nuova e comune economia energetica. Una
sorta di fibrillazione collettiva che a livello atomico molecolare é un
fenomeno elettrochimico, come nei sistemi biologici è di carattere istintuale e
genetico, mentre nei sistemi socio-culturali questa consapevolezza dell’insieme
matura tramite la percezione empatica e l’organizzazione delle informazioni
mediante quella particolarità della mente umana che è la coerenza logica.
Proiettata sui piani economici, legali, culturale, morale e psicologico, la
coerenza logica spiana le contraddizioni dei sistemi sociali, includendo
soggetti e aspetti prima esclusi, ciò che equivale all’evoluzione verso un
sistema più complesso. Secondo la filosofia evoluzionistica di Làszlò, che
teorizza il concetto prigoginiano dell’auto-organizzazione proietto sui sistemi
socioculturali della globalizzazione, dove la consapevolezza dell’insieme, cioè
la visione della globalità provocata dalle crescenti contraddizioni vicino alla
biforcazione storica, sarebbe recepita e manifestata anzitutto dagli individui
più perspicaci e con maggiore percezione empatica, definiti “creativi sociali”,
che sono come i germi antropologici di un ipotetico “uomo planetario” del
futuro. È del tutto ovvio che la Global Complexity Art si muova in sintonia a
queste ipotesi di futuro, mettendo in circolazione fermenti di creatività
evolutiva, per stimolare l’insorgere di una “coerenza dei valori” insieme ad
una più ampia empatia estesa a livello planetario, indicati ad includere
soggetti e aspetti fin’ora esclusi, ciò che equivale a promuovere il prossimo
passo evolutivo dell’umanità.
VIaggio shamanico nel tempo |
Per concludere questa prima parte dell’introduzione alla
creatività che crea il futuro, non si può dimenticare la nuova visione
cosmologica, base di un’evoluzione del sistema scientifico, derivante dalla
concezione evolutiva di Prigogine. Sia solo accennato che è in questo contesto
che si afferma la nuova teoria del tempo di Prigogine, per la quale l’entropia,
cioè la fase degenerativa dei sistemi, corrisponde alla tradizionale concezione
del "tempo divoratore", mentre la sintropia, cioè la fase di
auto-riorganizzazione creativa dei sistemi, si manifesta una funzione
complementare alla dinamica temporale, sin ora sconosciuta, che è quella del "tempo creativo”. Contrariamente alla concezione tradizionale del tempo che
si rapporta ai movimenti meccanici nello spazio, come i periodi orbitali dei
corpi celesti che ci danno il calendario e l’ora, la nuova concezione del tempo
di Prigogine si rapporta anche alle evoluzioni creative, quindi al percorso del
divenire che traccia la profonda identità dell’esistente. Pertanto Prigogine
parla dell’apparente “paradosso del tempo”, perché non solo si manifesta
nell’invecchiamento, come da sempre si disse, ma anche nella crescita del
nuovo, la cui espressione perpetua è l’evoluzione continua dell’universo e
d’ogni sua parte. In altre parole, diversamente della circolarità ripetitiva
delle ore e delle stagioni, ma analogamente alla conta degli anni d.C. a cui si
aggiunge il concetto di progresso, il “tempo creativo” procede in forma
cumulativa, ossia irreversibile e nello stesso senso della “freccia del tempo”,
che va solo avanti, creando la “differenza tra il prima e il dopo”. Ebbene, la
cosa più paradossale è che questa fenomenologia temporale, di fronte agli occhi
di tutti, non è mai stata scientificamente formulata dalla tradizionale
cosmologia meccanicistica, dato che solo Einstein incluse il tempo come quarta
dimensione del reale, sebbene con equazioni di reversibilità, quindi non
irreversibile come è l’evoluzione. Tanto è vero che mantenne la visione statica
dell’universo ereditato dall’antichità. Pertanto la nuova concezione del “tempo
creativo” di Prigogine, insieme alla cosmologia della complessità e
dell’evoluzione universale, spinge ad una generale revisione epistemologica
della scienza moderna. Da tempo iniziata col passaggio dalla cosmologia della
“creazione finita” a quella della “creazione continua”, gradualmente la
revisione epistemologica delinea il cosiddetto “universo post-einsteiniano” con
cui la concezione scientifica dominata dalla meccanica viene ridimensionata con
il crescente rilievo della termodinamica. Questo comporta il ridimensionamento
delle fredde leggi della meccanica, con cui è stata costruita la “civiltà della
macchina”, per dare spazio alla termodinamica che si rapporta ai parametri
della Vita alimentata dal sole. In quest’ottica Prigogine tratta nel suo noto
libro “La nuova alleanza” di una nuova relazione cultura-natura in grado di
ricomporre il divario insostenibile tra lo sviluppo della civiltà e il degrado
della biosfera. Oltre al fatto che, dato il denominatore comune è la
“creatività evolutiva”, in questa prospettiva s’avvicina anche una nuova
alleanza tra scienza e arte. E dato che queste nuove alleanze evolvono con
approcci multidisciplinari, non è fuori luogo vedere nei termini progressivi di
uno sviluppo mondiale ecosostenibile il concretizzarsi di un Nuovo Umanesimo.
Chiaramente la Global Complexity Art partecipa, dando voce ed immagine, a
questo trend evolutivo.
Lavoriamo per voi |
L'insieme degli approcci sin ora annoverati determina le
principali coordinate operative che formano la Visione Globale adottata
dall'Arte della Complessità Globale. L'immagine che la Visione Globale compone
della realtà è profondamente alterato rispetto alla tradizionale visione
dell'universo, della Terra e dell'uomo stesso. Essa rivela che la crescente complessità
caotica del degrado per un verso, e lo sviluppo in complessità organizzativa
per l’altro verso, sono dinamiche complementari che interagiscono nella
creazione evolutiva. Inoltre dimostra che tutto si trasforma sotto la spinta
dell’evoluzionismo universale; rivelando, in base all’indeterminismo delle
biforcazioni, che questo universo animato da continui processi evolutivi,
nell’insieme come in ogni sua parte, dimostra di avere un carattere
essenzialmente creativo. Per cui la scienza è passata dalla concezione statica
della “creazione finita” a quella dinamica della “creazione continua”. Si può
aggiungere che la scoperta della creatività universale è stata anticipata da
tempo dalle intuizioni dal grande filosofo della scienza Henri Bergson (1859-1941),
espresso dal suo concetto di “universo creativo”, a cui fa riferimento anche
Prigogine. Si può dire che questo dinamismo universale richiama l'affermazione
di Eraclito "tutto scorre", che però va ora completato dicendo “tutto
scorre verso il degrado o l’evoluzione”. Infine va sottolineato che la
scoperta di questo universale dinamismo evolutivo impone a riconoscere, in
primo luogo, che esiste una continuità tra la forza creativa della natura
universale e la creatività dell'uomo, e come per il suo tramite la
creatività universale sospinge con leggi analoghe l'evoluzione culturale
dell'umanità. In secondo luogo si deve riconoscere che l'evoluzione
socio-culturale sulla Terra, osservata all'epoca della globalizzazione, ha
tutte le caratteristiche del rapido avvicinamento alla fatidica biforcazione,
dove le opzioni sono o la catastrofe entropica mondiale o il consapevole
coordinamento della creatività umana per l'emancipazione globale verso un
sistema di complessità planetaria. È una concezione condivisa da molti
scienziati e uomini di cultura di tutto il mondo. Per fare un esempio, è
proprio questa logica che ha guidato Alexander King nel suo libro “Questioni di
sopravivenza”, dove ipotizza una “prima rivoluzione globale” e l’avvento di una
“società planetaria”. Non a caso King ha scritto questo libro 20 anni dopo il
noto rapporto del Club di Roma a cui partecipò lanciando i primi appelli per
una “svolta globale”. Da allora è passato molto tempo e siamo entrati nel Terzo Millennio, con una
crescente consapevolezza pubblica che s’allarma a livello mondiale per le
lentezze governative rispetto ai cambiamenti di rotta richiesto dai vari
convegni mondiali indetti dalle Nazioni Unite sul tema del cambiamento
climatico, a cominciare dal Summit di Rio del 1992 e il Protocollo di Kyoto del
1997. Mentre in realtà la “svolta globale” è diventata ancora più difficile per
la forte industrializzazione di paesi prima arretrati, come Cina, India,
Brasile, che necessariamente usano modelli di sviluppo ormai anacronistici, incrementando
ulteriormente gli squilibri ambientali pagati da tutto il mondo con crisi
eco-climatiche sempre più marcate, i quali riempiono i notiziari con la
descrizione di catastrofi che tragicamente continuano ad abbattersi su ogni
continente del pianeta. La biforcazione storica s’avvicina vistosamente. Scrive Jeremy Rifkin: “Intanto, i mali che affliggono il mondo globalizzato - crisi economica,
disoccupazione, povertà, fame e guerre - sembrano aggravarsi anziché
risolversi. A peggiorare le cose, si profila all'orizzonte un catastrofico
cambiamento climatico provocato dalle attività industriali e commerciali ad
alte emissioni di gas serra, e che già entro la fine di questo secolo potrebbe
mettere a repentaglio la vita dell'uomo sul pianeta. La nostra civiltà, quindi,
deve scegliere se continuare sulla strada che l'ha portata a un passo dal
baratro, o provare a imboccarne coraggiosamente un'altra.” (La terza
rivoluzione industriale, Jeremy Rifkin, Ed. Mondadori 2011). In termini simili
scrive Luca Mercalli: “Mai tante crisi tutte insieme: clima, ambiente, energia, risorse naturali,
cibo, rifiuti, economia. Eppure la minaccia della catastrofe non fa paura a
nessuno. Come fare? Ci vuole una nuova intelligenza collettiva” (Prepariamoci,
Luca Mercalli –Ed. Chiarelettere 2011).
Il grido antico |
Nell’insieme delle situazioni
drammatiche, che caratterizzano lo stato evolutivo del mondo contemporaneo, si
trova la chiave interpretativa di molti dei progetti evolutivi verso una nuova
e più organica organizzazione mondiale dell’umanità, in cui si condensa
senz’altro il prossimo scalino evolutivo del genere umano. Intanto è da tempo
che s’intravedono, per un verso attraverso le alte sfere della finanza e della
politica mondiale, l’attuazione progressiva di strategie idonee a instaurare un
“nuovo ordine mondiale”; mentre, per un altro verso, intellettuali di tutto il
mondo - tra cui quelli già menzionati- e vari gruppi di “creativi sociali”,
come quelli che si richiamano ad Ervin Làszlò e il Club di Budapest, lavorano per una revisione epistemologica
delle scienze e delle culture, inteso come presupposto per la creazione di una
civiltà mondiale basata sulla maturazione di una coscienza planetaria:
obiettivi, questi, che includono la mutazione antropologica verso “l’uomo
planetario” da tempo sognato dai neo-umanisti. Sarebbero, dunque, i contorni
promettenti dell’opzione evolutiva per la salvezza del mondo, tuttavia anche
questa opzione non appare semplicemente lineare. Considerando, infatti, il
trend dominante della storia contemporanea, non mancano motivi di
preoccupazione, in quanto l’evoluzione verso un sistema globale ammette vari
modelli che si differenziano dal grado di democrazia reale o della sua
mistificazione, e sono sintetizzabili in due tipologie fondamentali. Una è
l’evoluzione delle strutture dei poteri del mondo mediante coordinamento di
alta complessità nel superpotere di un Impero Globale, che realizzerebbe il
“sogno di tutti gli imperi” del passato. Questa ipotesi della supergerarchia
piramidale di un potere globale centralizzato è stata descritta molto bene nel
libro “Impero” di Michael Hardt e Antonio Negri, quest’ultimo un noto
professore italiano di scienze politiche, che lo definisce come un sistema di
governo complesso, legalmente non formalizzato né localizzabile geograficamente,
che delimita ampiamente le sovranità nazionali e il reale funzionamento di ogni
democrazia, già in fase di progressiva realizzazione (Ed. BUR Saggi, 2003).
L’altra opzione di evoluzione consiste nella possibilità di una progressiva e
mirata emancipazione antropologica dell’umanità che interagisce con
l’evoluzione creativa di una democrazia globale, che potrà realizzare la sua
maturazione generalizzando i parametri di una cultura della complessità, che
abbatte ogni gerarchia a favore della capacità funzionale. Questo trend è confrontabile con “La prima
rivoluzione globale e il futuro dell’umanità”, il libro scritto da A. King e B.
Schneider, che descrivono l’evoluzione verso la “prima società planetaria” (Ed.
Mondadori, 1992). Questo tipo di progetto mondiale, che propone dei sistemi di
democrazia socio-culturale più evoluti con un più alto livello di complessità,
ha uno dei suoi più autorevoli profeti nel sociologo francese Edgar Morin, il
quale discute le connesse questioni scientifiche e antropologiche nei suoi
libri, come quello intitolato “Patria-Terra” (Ed Raffaello Cortina, 1994).
Mentre nella sua opera, “La via - Per il futuro dell’umanità”, Morin sottolinea
la necessità di un’evoluzione politica verso la cooperazione globale “nella
prospettiva di un nuovo umanesimo”, a livello globale naturalmente. In questo
contesto si può anche specificare che per il pensiero neo-umanista, come per
l’artista tedesco Joseph Beuys, ogni prospettiva storica tende verso un
Umanesimo Globale; così per la Global Complexity Art. Inoltre, parlare di
umanesimo obbliga il riferimento alla particolare storia culturale dell’Europa,
dall’antica Grecia con l’invenzione della democrazia e l’affermarsi dei primi
liberi pensatori nella figura dei suoi filosofi, fino all’umanesimo rinascimentale
che, passando per l’Illuminismo e la Rivoluzione francese col motto dell'universale verità antropologica di "Libertè-Egalitè-Fraternitè", hanno
creato la base della moderna cultura europea, tramite la cui espansione
coloniale si è formato il Mondo Moderno con i suoi concetti di democrazia, di libertà e dignità umana. Con
l'ipotesi che l'Unione Europea da poco nata, composta da stati con differenti
culture e linguaggi che furono nemici acerrimi nel passato e ora cooperano, visti nella
prospettiva del futuro, essa ha le migliori premesse a svilupparsi come modello
generalizzabile per un sistema sociale mondiale di maggiore complessità: una “unione
delle differenze” globale. Oltre al fatto che l’Europa, dopo 500 anni di colonizzazione
mondiale con cui ha distrutto innumerevoli culture autoctone, ciò che sottende
al marasma contemporaneo, per questo e per la sua eredità culturale unica le "culture unite d'Europa" dovranno investirsi dell’obbligo di moralità storica a dare il massimo
contributo possibile all’evoluzione umanistica di un futuro sistema globale. Tuttavia,
per concludere va pure menzionato una terza via, siccome nella visione
realistica del futuro esistono le probabilità per una combinazione variabile
dei due modelli di evoluzione mondiale fin qui ipotizzati; dove la primo
predominerà nei tempi più vicini, mentre il secondo modello potrà maturare nei
termini di un più lungo percorso. In definitiva è proprio in coincidenza a
questi bivi storici che l'Arte della Complessità Globale ha una sua più ampia
ragione d'essere.
Finestra sul mondo 3 |
L'occhio di Giano
Il ventaglio degli approcci scientifici che compongono il concetto
di Visione Globale, oltre agli apporti provenienti dal mondo dell'arte e della
cultura umanistica, fornisce il materiale con cui la Global Complexity Art
costruisce l'impalcatura per la creazione di una metaforica "Finestra
sul mondo". Mentre per un altro verso, nel considerare piuttosto le
ripercussioni esistenziali ed antropologiche generati dall'uso della Visone
Globale, l'Arte della Complessità Globale si definisce propriamente come
"l'Arte di vedere il mondo", ciò che da anche il nome ad un'altra
serie di opere dedicata alla nuova visione del "globo oculare". Si
tratta di un’esigenza da tempo affermata da Marcel Proust: "Non è
importante vedere nuovi paesaggi ma avere nuovi occhi". Infatti, La Global
Complexity Art implica, applica e promuove, i parametri necessari per un
nuovo modo di vedere, con una nuova sensibilità, elementi per spalancare gli
occhi creando gli spazi per una nuova apertura mentale, ciò che è assolutamente
necessaria a visualizzare la globalità del mondo in cui viviamo: è il
mondo reale che si estende non solo nello spazio ma anche nel tempo. E' come
creare un ologramma mentale con l'immagine del mondo formato dall'accumulazione
stratificata della sedimentazione archeologica di reperti del passato. Sono
le tracce di avvenimenti e segni dei mutamenti con cui il tempo
ha tracciato la topografia storica del territorio mondiale; sono l'eredità del
mondo in attesa di essere coordinato con gli sviluppi del presente per essere
proiettati nel futuro. Proprio in questo senso il grande semiologo russo
Mikhail Bachtrim ha definito il mondo "un grande cronotopo", una
topografia del tempo, che evolve dalle più lontane origini e si proietta -grazie
alla creatività umana- nei migliori dei futuri possibili. In definitiva, la
Global Complexity Art dipinge l'immagine del presente collocato tra passato e
futuro, dove, infatti, sono radicati la nostra vera identità e la progettualità
creativa autentica. Si tratta semplicemente della reale identità umana
registrata nel DNA, quella che si conferma nella quotidiana relazione tra sfera
locale e globale, giungendo ad ammettere di essere tutti figli della Terra e
membri della grande famiglia umana nonché imparentato con gli altri abitanti
della Terra, fino ad elevare la consapevolezza al livello adeguato per
diventare cittadini del mondo che hanno in comune quello che Edgar Morin chiama
la "Terra-Patria".
L'occhio di Giano |
Indubbiamente la Visione Globale sembra incorporare l'ottica
bi-prospettica dell'antico dio del tempo Giano, ma più appropriatamente si
tratta di una compressione temporale coerente con l'implosione spaziale
inerente alla globalità, per cui rappresenta un’estensione dell'evoluzione
culturale verso il "presente allargato" che avanza con i mezzi di
comunicazione planetari. In questa nuova visione, ad esempio, lo scioglimento
dei ghiacciai causato dal riscaldamento atmosferico appare come ultima fase
dello scioglimento dell'era glaciale, che ebbe inizio 10 mila anni fa con
il sorgere dell'attuale era solare; come la contemporanea distruzione delle
ultime comunità arcaiche rappresenta la fine della forma sociale che fu in
vigore durante questa era glaciale, mentre la sua distruzione iniziò con
l'invenzione storica del sistema città-stato che gradualmente venne a dominare
il mondo distruggendo i primi. In conclusione è con questa stessa prospettiva
spazio-temporale della Visione Globale che la Global Complexity Art
compone l'immagine "cronotopa" dell'umanità, per dipingere l'affresco
virtuale che ritrae, a partire dal marasma globale odierno, l'avvento progressivo del "uomo planetario" e del suo
habitat rinnovato a misura dell'uomo e della natura.
-Il capello di feltro- Performance "l'Arte di vedere il mondo" |
Per il particolare approccio interdisciplinare della Global Complexity Art, insieme alle specifiche prospettive globali in cui svolge la sua attività creativa, si può dire che per vari aspetti proseguono la strada indicata dal grande artista tedesco Joseph Beuys. Insieme alla sua figura carismatica di shamano e di grande maestro, la sua opera complessa è considerata l'espressione artistica più alta della seconda metà del Novecento, mentre il suo insegnamento continua ad essere fondamentale per il futuro dell'arte mondiale. Secondo Mario B. Montandon "tutto il terzo millennio avrà le radici nel pensiero beuysiano". In sintesi l'opera di Beuys si basa sulle relazioni interdisciplinari tra arte e scienza nel rapporto natura-cultura, con un approccio definibile neo-umanistico sia perché rievoca la versatilità dei geniali artisti-scienziati dell'Umanesimo rinascimentale, sia perché coinvolge ugualmente la variegata tematica dell'emancipazione umana. "E' importante -afferma Beuys- che l'umanità si emancipi verso una nuova umanità". Per quanto sia cambiato il linguaggio tra l'Umanesimo antico e il neo-umanesimo di Beuys, per entrambi l'evoluzione antropologica dell'umanità è vista in rapporto proporzionale allo sviluppo della sua creatività; una creatività -si noti bene- non da indurre ma da "liberare" in quanto facoltà innata nell'uomo. "Io cerco di portare alla luce -egli disse- la complessità delle aree creative". In tal senso Beuys carico di grande importanza la relazione arte-uomo, reclamando dallo sviluppo dei sistemi sociali lo spazio culturale ad esercitare quella che è una peculiarità dell'uomo, cioè il libero arbitrio, da Beuys indicato come presupposto irrinunciabile a liberare l'innato potenziale di creatività che è radicata nella identità antropologica di ogni essere umano. Ciò che esprime bene il suo famoso motto "ogni uomo è un artista". Insieme alla sua visione evolutiva di un'umanità potenzialmente creativa, Beuys sviluppo il concetto di "arte allargata" indirizzato a coinvolgere l'intero spettro delle attività umane in una dinamica evolutiva che eleva il lavoro umano al livello di arte. Nulla di nuovo in assoluto se confrontato al sistema delle Arti liberali o alla relazione arte-artigianato nel Medioevo. Con la generalizzazione della creatività umana, per Beuys la prospettiva storica del suo concetto di "arte allargata" è nella progressiva incidenza sull'evoluzione creativa dell'habitat umano con cui l'intero pianeta si trasformerà in una "opera d'arte ecologica globale". Secondo Beuys in questa prospettiva si attenua progressivamente il contrasto cultura-natura, in riferimento anche al concetto platonico alla base del pensiero umanistico, e cioè che la natura sia stata creata "come un'opera d'arte".
Per maggiori dettagli consiglio di leggere "Il cappello di feltro" scritto da Lucrezia De Domizio Durini (Edizioni Carte Segrete 1991).
La Psiche (dal video Velare-Svelare-Rivelare) |
La mano del destino |
Mani che parlano |
Un'altro aspetto peculiare della Storia Totale è che il suo campo d'indagine retrocede nel tempo ben prima al formarsi delle aree storiche della "civiltà", per giungere a sondare l'immensità temporale del territorio abitato dall'umanità del Primo Evo. ln altre parole la Storia Totale include il divenire culturale dell'umanità durante le epoche perentoriamente discriminate come Preistoria; altrettanto essa include i prolungamenti del Primo Evo nelle comunità arcaiche che, in numero sempre minore, hanno vissuto accanto alle evoluzioni storiche, ugualmente discriminati come "primitivi", invece di essere denominati "primari" che implicherebbe tutt'altra connotazione di valore. Nell'ottica della Storia Totale la barriera ideologica tra preistoria e storia inizia con l'invenzione e diffusione del sistema sociale che oggi domina il mondo, ossia quello urbano-statale, la cui origine si colloca in Mesopotamia intorno a 3,500 anni a.C. con la fondazione della città-tempio di Ur insieme alla costruzione piramidale della prima Ziggurat. In seguito, con una traslitterazione mitica, questa costruzione s'identificò con la "Torre di Babele", costruita dagli Asiro-Babilonesi, gli eredi diretti della cultura sumerica. In effetti Ur è un grande denominatore comune della storia mondiale. E' il modello originario del sistema città-stato, un insieme che appare come nuovo organismo socio-culturale, ad un tempo organizzazione urbana dell'abitare e struttura materiale e simbolica del potere gerarchico, la cui storia evolutiva è il soggetto intrinseco della "storia" definita tale. Ur è il prototipo di città-stato, che dalla parola latina di "civitas" trova l'origine etimologico di "civiltà", nasce con la vocazione univoca di creare un "nuovo ordine del mondo", la cui ireggimentazzione, in definitiva, è la "storia della civiltà". Basta pensare che ad Ur venne compilato la prima grande computazione del tempo, con il sistema sessagesimale che usiamo tutt'ora, dai dodici mesi del calendario alle 2 volte 12 ore del giorno, 60 minuti e 60 secondi dell'orologio; il cerchio da 360° e la ruota; da Ur venne Abramo, il padre comune alle 3 religioni monoteiste, quindi anche ila tradizione giudaico-cristiano dell'occidente; oltre ai sistemi statali e urbanistici che gestiscono il territorio mondiale. Considerando Ur la frontiera cronologica tra storia e preistoria, il primo dato considerevole è l'norme squilibrio esistente tra le due sponde temporali, con circa 5.000 anni di storia a confronto di circa 50.0000 anni di preistoria della nostra specie. Ma la cosa ancora più rimarchevole nel nostro contesto è il fatto che la "storia scritta" della civiltà ha il suo precursore nella testimonianza della preistoria "descritta" dal patrimonio mondiale di una enorme quantità di opere d'arte create dall'umanità primoevale ovunque vivesse, con la permanenza di reperti che hanno sfidato i millenni formando un immenso archivio di carattere pittografico, lasciatoci a descrivere la storia della preistoria. E' proprio la documentazione globale di questo patrimonio tanto artistico quanto storico a cui l'archeologo Emmanuel Anati ha potuto attingere nel suo ruolo di direttore del Centro Camuno di Preistoria, dalla cui sede in Val Camonica ha organizzato innumerevoli simposi internazionali tra archeologi, antropologi e paleoantropologi di tutto il mondo; senza contare la gestione dell'Archivio Mondiale dell'Arte Rupestre per conto dell'UNESCO. In questo contesto, dato dallo sviluppo dei mezzi tecnologici di comunicazione e di archiviazione digitale della documentazione mondiale, che per Anati, rivestendo un ruolo d'indubbia centralità organizzativa, è diventato possibile avere una visione globale idonea a formulare i primi tratti concreti per una Storia Totale.
Le orme del divenire |
Un primo dato sbalorditivo, documentato dall'insieme dei reperti pervenutoci dall'epoca preistorica, è che oltre il 90% riguarda materiale artistico, espressioni di arte visiva, motivi estetici sia figurativi e naturalistici sia astratti a forma di simboli e diagrammi, con tecniche a graffito come disegni incisi, pitture dipinte, bassorilievi e sculture a tutto tondo. Il tutto fu affidati intenzionalmente a supporti durevoli nel tempo, anzitutto alla roccia, più recentemente all'esterno, più indietro nel tempo a grotte naturali, come quella di Altamura descritta come "Capella Sestina della preistoria", oltre all'arte mobile in ossa e avorio tra cui le cosiddette "Veneri". L'insieme di questi reperti estetici rappresentano l'illustrazione codificata dei rispettivi mondi culturali inerenti alle varie epoche coinvolte, accomunati dalla volontà di sfidare il tempo che presiede a ogni evoluzione. Secondo la cronologia assoluta, retrocedendo nel tempo il periodo preistorico è formato dal Neolitico durato 4-5 mila anni a cominciare dalla fine dell'Era Glaciale intorno al 8000 a.C.: ad esso precedete il Paleolitico superiore, che inizia circa 45 mila anni prima, durante la Glaciazione di Würm, con cui finisce per l'avvento dell'odierna epoca solare. La cosa più importante è dato dall'evidenza che tutta la grande creatività artistica, che danno testimonianza primaria della preistoria, ebbe origine nel Paleolitico glaciale, più precisamente l'arte visuale ebbe iniziò e diffusione insieme alla nascita e diffusione dell'odierno genere umano, il Cromagnon detto anche sapiens sapiens. Tanto è vero che per Anati l'evoluzione culturale dell'epoca è propriamente una "esplosione dell'arte", per cui il noto paleoantropologo Richard E. Leakey definisce giustamente il periodo del Paleolitico superiore come "l'Età dell'Arte". Risulta, quindi, che l'arte visuale è stata originariamente il fattore determinante nel processo di umanizzazione culturale dei nostri più lontani progenitori. Anzi, si dovrebbe parlare di un vero e proprio "umanesimo" ante litteram. Come è altrettanto rilevante rendersi conto che questo primario strato culturale della nostra specie circoscrive la radice comune dell'intera umanità, oltre a rappresentar la matrice antropologiche della creatività umana. In questo contesto, uno dei primi grandi paleoantropologi, André Leroi-Gourhan, descrisse il Paleolitico come "le radici del mondo". Rimane solo da sottolineare che la promozione per la consapevolezza di questa comune identità antropologica, in quanto sottende a tutte le divisioni culturali fomentate dalla storia, rappresenta una comune matrice di riferimento per una evoluzione antropologica del genere umano che dovrà pur giungere a creare una società planetaria composta da cittadini del mondo che si sentono, come ogni unità culturale, uniti da origini comuni.
Per concludere si può ribadire che la Global Complexity Art si definisce neo-umanista anzitutto per il fatto di porre l'arte implicitamente in rapporto all'emancipazione umana. Non per dare una finalità all'arte che sia esterno alla sua natura, ma al contrario, per liberare la naturale creatività dell'uomo che sottende ugualmente all'arte, facendo leva su questa relazione di reciprocità. Oltre al fatto che l'immaginario creato nella dimensione globale, in quanto traduce una realtà comune ma non acquisita comunemente, mette in moto una potenziale elevazione di coscienza collettiva, insieme a quella di una nuova sensibilità caratterizzata da un più ampio raggio di empatia. Ciò che in vari ambiti si definisce "global shift", ossia una "svolta globale" per intraprendere il percorso evolutivo verso una coscienza planetaria. Parlando, invece, del più stretto legame tra umanesimo e arte, il problema artistico a cui si vuole dare risposta -come già indicato da Beuys- è quello di creare "l'immagine dell'uomo", non il modello antropologico di una cultura in particolare, di un'epoca o di un settore sociale, ma l'icona dell'umanità intera, a sostegno, appunto, del percorso evolutivo verso una futura cultura globale. In tal senso la Global Complexity Art procede a comporre l'immagine dell'uomo inseguendo la sua metamorfosi nello spazio e nel tempo, per comporre un ologramma cronotopico che, per le sue interazioni globali, include tutto lo scibile. Ovviamente è un'operazione complessa che richiede l'ampio spettro multidisciplinare indicato dal connubio arte-scienza. E' in questi termini, sia per l'obiettivo sia per il metodo, che la Global Complexity Art tende a riattualizzare l'antica impostazione umanistica che sottese alla fioritura rinascimentale del XV sec.
Homo Schizofrenicus |
Questa introduzione riassume i concetti base della Global Complexity Art, quello che segue espone l'illustrazione progressivamente più dettagliata di quanto è stato accennato fin qua.